TAEG pattuito in contratto diverso dal TAEG effettivamente applicato, cosa fare?
Una classica irregolarità che può emergere nell’analisi dei contratti di natura bancaria e finanziaria è data dalla rilevazione di una differenza sostanziale tra il TAEG pattuito nel contratto ed in quello effettivamente applicato dall’istituto di credito.
Nel caso specifico, in riferimento ad una sentenza del Giudice di Pace di Buccino, il TAEG convenuto in contratto era del 11,12 % mentre quello applicato risultava del 13.93%. Il TAN pattuito era del 10,20 % mentre quello applicato era del 10,69%. Nell’analisi della controversia, Il Giudice richiama alcuni importanti riferimenti comunitari in materia di protezione del Consumatore nei contratti stipulati con un:
Professionista
- la Direttiva CEE n. 93 del 5/4/2013 (poi modificata dalla Direttiva CEE 2529 dell’ 11/5/2005)
- la Decisione della Corte di Giustizia delle UE del 15/3/2012, C540/10.
Le Direttive citate hanno ad oggetto la regolamentazione delle pratiche commerciali messe in atto dal “professionista” nei confronti del “consumatore”, con particolare riferimento alle possibili clausole “abusive” o che integrano la c.d. “pratica commerciale ingannevole”.
La ratio che sottende l’emanazione di queste norme è quella di evitare che il “consumatore” debba subire, da parte del “professionista”, l’accettazione di clausole commerciali che lo inducano in errore e che non avrebbe sottoscritto se avesse conosciuto la reale portata delle stesse.
Nel pronunciarsi sul caso di specie, e facendo riferimento sia alla normativa nazionale sia a quella comunitaria, il Giudice di Pace afferma che qualora il finanziatore applichi un TAEG in misura diversa e più alta rispetto a quella pattuita in contratto, la clausola di riferimento deve considerarsi nulla.
In particolare, la Decisione della Corte di Giustizia sopra citata, dichiara che una pratica commerciale consistente nel menzionare in un contrato di credito un TAEG inferiore a quello effettivamente applicato e verificato deve essere qualificata come “ingannevole” ai sensi dell’art. 6, paragrafo 1), della Direttiva CEE 2529 dell’11/5/2005.
Nell’invocare l’applicazione della normativa comunitaria, inoltre, il giudice afferma il principio secondo il quale “il giudice nazionale” è tenuto a disapplicare la clausola contrattuale affetta da nullità ed a sostituirla, qualora l’ordinamento lo consenta, con una clausola sostitutiva (come potrebbe essere quella dell’art. 1419 c.c..).
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